Quale formazione per l’insegnante di sostegno nella scuola di oggi?

Esperienze personali per una Scuola inclusiva

Riflessioni personali della nostra formatrice Dott.ssa Laura Petrucci, che ha curato per Sapere Più “Il metodo ABA e altri metodi per l’autismo”.

Prima di esporre le motivazioni che mi hanno indotto ad iscrivermi e frequentare il corso di Specializzazione per poi diventare Docente Specializzato di Sostegno per l’inclusione, mi sembra quanto mai opportuno fare una breve premessa, che probabilmente devo a me personalmente.
Nel momento in cui ventilavo l’ipotesi di iscrivermi a tale scuola, tutte le persone che mi circondavano, amici, familiari, approvavano e mi incoraggiavano. Le frasi che mi sentivo rivolgere frequentemente erano: “Fai bene, avrai lavoro garantito perché c’è grande richiesta di insegnanti di sostegno”. Gli incoraggiamenti e le approvazioni anziché rassicurarmi e darmi conferme rispetto alla scelta che stavo per fare, mi facevano sorgere mille dubbi ed interrogativi. E se la mia scelta fosse stata dettata realmente ed esclusivamente dalla necessità di trovare un lavoro? E fare l’insegnante di sostegno era veramente quello che volevo fare? Che tipo di insegnante avrei potuto diventare ed essere? Questi dubbi, questi interrogativi, mi hanno spinto a guardarmi dentro per cercare delle risposte e a leggere argomenti relativi al tipo di preparazione che deve avere un insegnante specializzato nella scuola oggi.

In questo percorso di autoriflessione, ci sono stati, non posso negarlo, diversi momenti di crisi e non nascondo che il dubbio ricorrente da dissolvere riguardava proprio la motivazione della scelta come “ripiego”, come sorta di stratagemma per entrare nel mondo della scuola. In questo lavoro su me stessa, gli elementi che mi hanno guidata e in qualche maniera illuminata sono stati: la rivisitazione della mia esperienza di studentessa prima, di insegnante di psicologia dopo, le esperienze maturate in qualità di consulente psico-pedagogista, progettista e tiflopedagogista, il significato della parola “diversità”, ed infine il fatto di appartenere ad una famiglia di insegnanti (mamma, zia e mia sorella).

Ho ripensato, con occhi adulti, alle mie esperienze di alunna, ai miei compagni in situazione di svantaggio. Ho rivisto quelle situazioni e ho incominciato a capire che forse le difficoltà di inserimento e di integrazione di questi compagni, più che dai deficit o dagli svantaggi che essi presentavano, derivavano da una sorta di “isolamento”, di “circoscrizione” che rivelava l’incapacità degli altri di misurarsi con la “diversità”.
Mi sono soffermata a riflettere soprattutto sul “destino” al di fuori della scuola di questi miei compagni. Quanti hanno potuto continuare gli studi? Quanti hanno potuto elaborare un “progetto di vita”? Qualcuno, forse nessuno.
Ad essi, dal mio punto di vista, non sono state offerte, probabilmente, giuste opportunità di una vera integrazione, anche se per fortuna oggi nella scuola le cose sono notevolmente cambiate anche grazie a questa nuova figura, oserei dire, dell’insegnante specializzato legato al docente curriculare nel processo di integrazione reale. Altro elemento fondamentale della mia riflessione: la mia famiglia, i miei primi maestri. La gioia e l’entusiasmo nel fare il loro lavoro da insegnanti, mi hanno sempre incuriosita e stimolata a farmi raccontare le loro esperienze. Mi hanno raccontato le difficoltà a comunicare ed entrare in relazione con gli alunni cosiddetti “normodotati”, ma soprattutto con gli alunni con bisogni speciali. Tutto ciò ha contribuito a farmi capire che fare l’insegnante di sostegno non è affatto facile: occorre un’accurata sensibilità. Ricordo una metafora: “la preparazione può essere come un vestito che ti sta addosso stretto e che diventa sempre più stretto fino a non farti respirare, se non si aprono la mente e lo sguardo verso orizzonti di ampio respiro che mettono in gioco la capacità di misurarsi con le “diversità”, in qualsiasi forma esse appaiono, in un mondo in cui è proprio la “diversità” a diventare “normalità”.


Sono profondamente convinta che “diverso” vuol dire risorsa, un’opportunità di crescita per tutti. Se non si vogliono trasformare le differenze in disuguaglianze, allora bisogna comprendere, nel senso originale della parola e cioè “prendere con”, “portare insieme”, come capacità di ragionare e non di vedere e non di parlare, perché c’è un altro modo di comunicare, basta solo avere la voglia di scoprirlo. 
Infine questo lavoro, mi ha spronato (e lo fa continuamente), migliorando e potenziando le mie capacità, rendendomi così più matura e sicura di me e facendomi cogliere il lato più profondo di un rapporto che si può costruire tra gli esseri umani. Tutte queste mie riflessioni mi hanno incuriosito e spinto ad accettare forse la sfida più importante della mia vita, di avventurarmi in un cammino sicuramente difficile, ma con la consapevolezza che non ho fatto semplicemente “domanda d’iscrizione” per “fare” l’insegnante di sostegno, io voglio “studiare” ed impegnarmi per diventarlo e per “esserlo”. Infatti, la sfida che mi pongo ogni giorno è quella di essere mediatore attivo in classe per assicurare la partecipazione attiva di ogni alunno e facilitatore per favorire l’apprendimento e l’inclusione degli alunni con diverse abilità, suggerendo risorse, percorsi didattici, ausili e sussidi utili all’apprendimento; contribuendo ad adattare strumenti, strategie e metodologie didattiche al fine di contribuire ad una “Scuola Inclusiva”, capace di valorizzare le differenze ed i punti di forza di ogni singolo componente del gruppo classe


Per rendere tutto ciò potenzialmente realizzabile, si rende necessario lavorare su percorsi legati al potenziamento delle autonomie personali, sociali, dell’autostima e della fiducia in sé, cercando di valorizzare le differenze e favorendo l’inserimento degli alunni, all’interno della realtà scolastica. Partendo dai bisogni degli alunni, si dovrà strutturare un percorso educativo, in cui tutti gli attori del processo di apprendimento, perseguiranno obiettivi specifici legati a:

  • Coinvolgimento emotivo, per stimolare l’interesse e la partecipazione
  • Informazione, attraverso una breve lezione frontale, per fa conoscere l’argomento oggetto di studio
  • Spazio alla creatività e alla libera espressione
  • Uso delle nuove tecnologie, quali LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) e altri smart devices
  • Discussione del lavoro svolto e relativa valutazione
  • Costituzione di gruppi nelle classi, per favorire l’ambito relazionale ed abituare i ragazzi a stabilire ruoli e regole

Da tutto ciò si avverte, più che mai, la necessità di realizzare percorsi condivisi tra alunni, genitori e docenti, favorendo l’apprendimento collaborativo, promuovendo l’integrazione dei saperi, il dialogo e il confronto, in una visione di costruzione di alleanze concrete e significative. 

Oggi, fermamente convinta, posso dire che mi piace vedere i risultati del mio impegno, mi piace vedere i ragazzi progredire, sviluppare nuove competenze e capacità ma soprattutto vederli partecipi del proprio progetto di vita insieme alle loro famiglie.


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